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7° anno

LA POTATURA: PERCHE', QUANDO E QUANTO?

Abbiamo cercato di capire, nei precedenti paragrafi, quali sono i meccanismi che regolano la vita di un albero, e credo sia chiaro che si tratti d un organismo assai prossimo alla perfezione, in uno stato di grazia così sublime da stare in equilibrio su un filo di ragnatela.

Prendiamo una tavoletta di legno, più o meno tonda. Immaginiamo di trovarne il centro esatto e di fissarvi un chiodino con anello. All'anello leghiamo una cordella ed appendiamo la tavoletta di legno al soffitto: abbiamo creato una sorta di comodino pensile, in equilibrio, certo, abbiamo trovato il centro esatto! ma non ci appoggereste di sicuro sopra il nuovissimo cellulare aipod aifon emmepi3, perchè dovunque lo mettiate vi sbilancia il sistema!

L'albero cresce là sopra. E sposta e dispone legno, rami, foglie e radici in modo da mantenere perfettamente in equilibrio il suo comodino.

Così prossimo alla perfezione, e così suscettibile di squilibrio.

Ogni danno che subisce inclina impercettibilmente il piano sul vuoto verso cui inesorabilmente l'albero inizia a scivolare.

E' così che muore un albero; inizia a morire nel momento in cui il suo piano prende qualche grado di inclinazione, per scivolare oltre il limite solo molti anni più tardi.

Come una canoa nell'ampio e lento fiume che adduce alle cascate, dapprima piano, poi sempre più veloce verso il balzo.

Nel 4° anno, quando abbiamo visto a grandi linee come funziona un albero, ho omesso volutamente un argomento di importanza fondamentale, soprattutto per chi come me mette le mani addosso agli alberi. Colui che più di altri ha studiato e teorizzato tale argomento è uno studioso francese, di nome Pierre Rainbault.

Pierre Rainbault è venuto a mancare improvvisamente in tempi recentissimi.

E' triste, ma è così. Il mondo dell'arboricoltura, disciplina tutto sommato giovane, si trova oggi a fare i conti con il doloroso vuoto lasciato da coloro che hanno per primi dedicato la loro vita allo studio degli alberi. Se non possono più presenziare a conferenze e convegni, il loro pensiero resterà comunque ben saldo nelle azioni di chi opera sugli alberi, e tangibile: sotto forma di un taccuino, di appunti o anche solo di uno schizzo infilati nel taschino dei pantaloni da lavoro.

Gli studi di Rainbault sono un altro di quegli argomenti che non possono assolutamente essere ignorati da chi manomette gli alberi.

In sostanza, ed in estrema sintesi, il francese ha individuato e descritto minuziosamente le fasi di sviluppo di un albero, come questo si dispone nello spazio a seconda della sua età (sia sopra che sotto il suolo: ricordiamoci che gli alberi sono più radice interrata che chioma aerea), e come modifica le sue strutture nel tempo, in funzione del suo accrescimento e dei suoi bisogni.

10 fasi, dalla germogliazione alla morte dell'albero.

In ognuna di queste fasi l'albero sviluppa strutture rameali e radicali specifiche e altamente funzionali alle sue esigenze contingenti, e prepara nel contempo quelle che gli serviranno nel futuro.

Crescendo potenzierà le strutture abbozzate nelle fasi precedenti e abbandonerà mediante autopotatura quelle che non risponderanno più ai bisogni del momento.

L'autopotatura è un fenomeno facilmente osservabile in tutti gli alberi: sono quei rami che la pianta secca spontaneamente.

E' la ciliegina sulla torta: un organismo dotato di meccanismi biochimici e di strategie che tendono alla perfezione, e di strutture (branche, rami e radici) non casuali, ma che anzi rispondono pienamente a questa spinta verso il perfetto.

Ecco perchè potare non può essere una casuale eliminazione di rami, non importa quali nè quanti:

ecco perchè l'orefice non può suggerire quali rami lasciare e quali togliere, men che meno la cima di un cedro; ecco perchè l'operatore del verde non può e non deve essere definito tale semplicemente perchè possessore di una motosega e di un camion con cestello, ma sulla base di specifiche conoscenze e studi approfonditi.

La motosega nelle operazioni di potatura è praticamente bandita, perchè non serve!

Quando chiamate qualcuno per potarvi un albero, se questo si presenta con scoppiettanti motoseghine e  rombanti motosegoni c'è qualcosa che non va! 

Cominciate a preoccuparvi subito, prima che sia troppo tardi, della salute del vostro albero e delle vostre tasche!

Per il 99% dei tagli necessari per occuparsi della chioma di un albero bastano (anzi, ci vogliono proprio!) cesoie e seghetti a mano. Il resto è danno, macello e ignoranza.

Anche i pesanti autocarri con cestello sono solitamente poco idonei per operazioni di potatura, principalmente perchè i loro limiti meccanici non consentono molto spesso il raggiungimento dei punti della chioma dove è necessario praticare un taglio.

E anche qui, mi sento in vena di confessioni, su fatti risalenti sempre agli inizi della mia carriera di arboricoltore.

Appena assunto da una ditta che si occupava di verde mi dissero che sarei andato a potare. Le mie esperienze erano al momento limitate al solo uso della motosega, attrezzo che brandivo già da tempo per fare legna nel bosco. Le mie conoscenze erano così limitate che a stento, per esempio, sapevo che tipo di legna stavo tagliando: abete, faggio o carpino erano per me tutta legna da ardere, e null'altro; una drastica riduzione della tassonomia a due uniche grandi categorie, quella degli alberi già abbattuti e quella degli alberi ancora da abbattere.

Credevo che per potare occorresse qualcosa di più, e venni convinto in un attimo che così non era: come novellino venni affidato a Eugenio, gruista di pluridecennale esperienza. Col senno di poi viene da dire che sicuramente un gruista potrà essere un ottimo autista, conoscere a menadito il comportamento della sua gru, come bilanciare i carichi e quali astuzie adottare nei casi intricati e problematici di lavoro; ma di alberi ne sa?

Al gruista chiedono di posare sul tetto di un edificio in costruzione il materiale che serve; non gli chiedono di posarlo in opera, non di fare il tetto: gli chiedono solo di portare quel che serve in un punto comodo, e basta.

Al gruista che impila i pezzi di un traliccio dell'alta tensione, chiedono di alzare quel pezzo in quel punto: non glielo fanno neanche imbullonare e fissare agli altri pezzi già montati, glielo fanno solo posare al punto giusto nel momento giusto. Figuriamoci poi se gli chiedono di eseguire gli allacciamenti elettrici!

Invece a me dissero che Eugenio il gruista ci pensava lui a potare! Che sarebbe stato sufficiente che io stessi con la motosega accesa fuori dal cestello, e tanto bastava.

E in effetti era proprio così: se al mio posto avessero fissato al cestello un cavalletto in grado di tenere la motosega a tutta manetta, il risultato sarebbe stato identico, e l'azienda per cui lavoravo avrebbe risparmiato i soldi di un operaio de-specializzato: me.

Fatto sta che io ero lo strumento portato in giro come in giostra intorno, sopra, sotto ed in mezzo all'albero. E quando la gru non raggiungeva tutti i punti della chioma? Su richiesta dell'esperto Eugenio eliminavo una branca, per esempio, per consentire al braccio meccanico di estendersi più in là; oppure si tagliava quel che si poteva da là dove si era e la potatura finiva là.

In sostanza poteva pure sembrare che potare volesse dire trovare il modo di far fare il giro dell'albero alla gru.

E il committente era contento del lavoro eseguito?

Sì, sempre. Ed ha sempre pagato (o comunque se non lo ha fatto non è stato certo per contestazioni sulla modalità di potatura). Non perchè il committente è stupido, ma semplicemente perchè il committente (che il più delle volte sa di non sapere) ritiene di essersi rivolto ad esperti, ed il bel risultato del suo albero distrutto e snaturato è in effetti del tutto simile a come vengono di norma trattati gli alberi sia nei giardini privati che in quelli pubblici. Quello si vede in giro e quello ci si aspetta che venga prodotto nella manutenzione dei propri alberi.

E' bene tuttavia ricordare che il più delle volte gli alberi pubblici non costituiscono un esempio di buona arboricoltura: anzi, di solito offrono eccellenti esempi del contrario.

Ancora un altro raccontino, che trova protagonista sempre il buon Eugenio.

Questa volta lui ed il suo camion, col quale costituiva binomio inscindibile, vennero richiesti per fare assistenza in un corso regionale di arboricoltura, in una giornata in cui i docenti avrebbero relazionato alla platea di studenti sulle tecniche di potatura. Una mezz'oretta di chiacchiere e spiegazioni per produrre un taglietto di pochi centimetri di diametro e passare poi ad un'altra branca, altra mezz'oretta di chiacchiere e spiegazioni ed altro taglietto di due/tre centimetri. Eugenio è un tipo dinamico, come si fa in quattro ore a produrre neanche una fascina di bacchetti? Quando si pota bisogna fare legna, ed ogni taglio già quintali di albero, se no che potatura è?

Ricordo che tutti ridevamo di gusto per le intemperanze del dinamico Eugenio verso la lentezza e l'inefficacia dei docenti e della loro platea di studenti.

A nessuno venne in mente che forse il gruista, per bravo che fosse coi suoi circuiti ad olio, non poteva proprio esprimere un giudizio critico su quanto ascoltava dai docenti. A nessuno venne in mente che forse avremmo avuto tutti qualcosa da imparare, inclusi i laureatissimi dirigenti dell'azienda da cui ero assunto.

D'altro canto la formazione delle maestranze costa un occhio della testa: di quello che so, di come ne sono venuto a conoscenza e del mio modestissimo bagaglio di nozioni, ho perso il conto delle migliaia di Euro che può essere costato e del tempo che vi ho dedicato: ed è stato tutto sempre denaro e tempo mio. 

Alle aziende non conviene avviare i propri operatori del verde a corsi di formazione professionale: costano moltissimo e sottraggono forza lavoro all'azienda per troppo tempo. Meglio mantenere operai ignoranti, tanto più che ciò che fanno va (apparentemente) benissimo lo stesso ed incontra anzi l'apprezzamento del committente.

Che a potare sia l'operaio de-specializzato, l'autista di un camion con gru o l'orefice, che differenza fa? Dei tre conviene scegliere quello che costa meno, e che accumula a terra più quintali di legna all'ora.

Cerchiamo di venire ora agli argomenti promessi nel titolo di questo settimo "anno": cioè perchè, quando e quanto potare un albero.

Ho ritenuto necessario un lungo preambolo di chiacchiere e raccontini perchè penso che questa sia la parte centrale e forse più importante di tutto il manuale.

Perchè i danni più rilevanti e più frequenti inflitti al patrimonio arboreo ed alle tasche di tutti derivano proprio da potature errate o inutili.

Perchè in tanti si cimentano nella potatura senza avere la minima idea di ciò che stanno facendo.

Perchè se da un lato nessuno si azzarderebbe mai ad operare un cane, o ad improvvisarsi meccanico della propria auto, dall'altro tutti ritengono invece di potersi occupare di alberi con competenza, visto che l'albero non scappa e non latra e visto che a fine lavoro non deve mettersi in moto.

Da quanto fin qui spiegato circa il funzionamento degli alberi ed il loro delicato equilibrio, se l'esposizione nei precedenti "anni" è stata chiara, dovrebbe essere evidente che ogni intervento di potatura è un danno per l'albero.

La prima domanda che occorre farsi, quando si intende potare un albero, è quindi perchè potarlo.

Perchè ritenere di avere buoni motivi per modificare una struttura quasi perfetta e cosè suscettibile a squilibrarsi e disordinarsi?

Occorrono buoni motivi per potare un albero, in modo che i benefici che ne derivano siano superiori ai danni prodotti.

Ecco una serie di motivi, comunemente addotti nella potatura degli alberi, che non sono buoni motivi, e che fanno spesso riferimento ad una tradizione vaga, imprecisa, grossolana, derivante per lo più dal sentito dire e visto fare.

Non si pota mai un albero:

  • perchè è ora di farlo
  • perchè è tanto che non lo si è più fatto
  • perchè l'ha fatto anche il mio vicino
  • perchè così si rinforza / ringiovanisce
  • perchè è troppo alto
  • perchè sporca con le foglie, ne fa troppe

Perchè è ora di farlo: non è mai ora di potare un albero. L'albero assolve perfettamente da solo ad ogni sua esigenza, ancor meglio se l'uomo è assente dai suoi paraggi. Mette legno e rami e foglie e radici dove deve e dove può, con le risorse di cui dispone e nel modo più funzionale possibile.

Proprio se un albero non è stato mai potato, è probabile che ci si trovi in presenza di un piccolo capolavoro della natura, che non ha bisogno di nulla: argomento chiuso e fine delle spese.

Un capolavoro di bellezza e soprattutto di salute.

A che ora si pota un albero? Alle nove e trentacinque del 26 novembre duemilaquindici?

Perchè è tanto che non lo si è più fatto: più o meno vale il ragionamento fatto sopra, salvo che, se è stato potato malamente la prima volta, allora sì che bisognerà purtroppo occuparsene, e non certo per ottenere un buon risultato nè estetico, nè economico. Bisognerà occuparsene per mantenere livelli di sicurezza accettabili per un esemplare che solo per causa umana presenta ora dei problemi di stabilità.

Non si pota un albero perchè lo prevede un generico e vago contratto di manutenzione che stabilisce tempi di interventi che nulla hanno a che vedere con le esigenze degli alberi.

Perchè l'ha fatto anche il mio vicino: le esigenze di un albero sono sue proprie e peculiari, ben distinte non solo dalle esigenze degli alberi del vicino, ma anche dalle esigenze degli alberi ospitati nel suo stesso giardino. L'idea di approfittare della presenza di una squadra di potatori nel giardino del vicino (è così comodo: sono già tutti là, con il cestello aperto e le motoseghe accese...), assomiglia a quelle irresistibili offerte da supermercato, quando va a finire che si spendono dei soldi per portarsi a casa una cosa che di fatto non serve.    

Perchè così si rinforza: e qui siamo di fronte ad una delle balle più clamorose dell'arboricoltura fai da te. Nonostante l'abbia già detto, lo dico ancora, e probabilmente lo ripeterà altre volte: ogni intervento di potatura è un danno per l'albero.

La potatura non rinforza l'albero, nè lo ringiovanisce.

Anzi, la potatura è un'operazione che sposta di colpo l'albero avanti nel tempo portandolo, se correttamente eseguita, a quello status che potrebbe avere fra quattro, cinque o dieci anni. Se eseguita malamente e con eccesso lo precipita invece ad una senescenza precoce, come gli astronauti di certi film di fantascienza che, per qualche ragione, invecchiano in pochi istanti fino a diventare decrepiti mucchietti di pelle, ossa e lunghi peli grigi.

Dove poi sia nata la convinzione che la potatura rinforza l'albero, è difficile dirlo. Un'idea potrebbe venire dalla facile similitudine chioma/capelli: nel vocabolario italiano chioma ha il doppio significato di "folta capigliatura" e di "complesso di rami e foglie di un albero". Dunque, poichè i capelli tagliandoli si rinforzano, uguale deve essere anche per i capelli dell'albero. Resta solo da appurare se sia vero che il taglio dei capelli li rinforza, o se sia anche questa una bufala popolare.

Che comunque non rinforzi l'albero già lo sappiamo.

Una seconda ipotesi è un po' più articolata, ma interessante. Nella sua storia l'uomo si è occupato degli alberi solo per ragioni di comodo suo: avere frutti, legname da costruzione, legna da ardere, pali, ecc. Le misure colturali adottate erano dunque finalizzate all'ottenimento di un buon prodotto, comodo da cogliere e facilmente commercializzabile, e chi se ne frega dell'albero.

Poi l'umanità, per lo più dispersa sul territorio e legata ad attività di tipo agricolo e pastorale, cominciò ad addensarsi in nuclei abitativi sempre più complessi ed articolati, avvertendo ben presto l'esigenza di tirare dentro le mura della città  una riminiscenza dell'antica cultura agreste e boschiva.

Si arriva così in piena rivoluzione industriale e le città tossiscono ammorbate dai miasmi di milioni di canne fumarie e migliaia di ciminiere; pare proprio che un po' di alberi ed aiuole fiorite possano mitigare la cupa cappa dello smog.

Incedono i decenni, la pressione sulle città aumenta, ed arrivano pure cemento e asfalto. Cominciano i primi crolli di alberi ed i primi incidenti, e si scopre di colpo che in qualche modo bisogna occuparsene: e chi dispone delle conoscenze più avanzate sugli alberi? Ovviamente boscaioli ed agricoltori, le cui pratiche vengono prese pari pari ed applicate agli alberi in città. Per un po' sembrò funzionare, e si commise l'errore di confondere i buoni risultati ottenuti da secoli di frutticoltura e silvicoltura come un segnale di salute degli alberi. I castagni sottoposti a secoli di coltura intensiva hanno sempre prodotto frutti in quantità, dolci e grossi; ma sono diventati dei campioni di precarietà ed instabilità; un melo crocifisso a spalliera ed ultrapotato più volte all'anno fa buoni frutti, ma non vive più di 15 anni, e di questi neanche uno in condizioni dignitose; ma la dignità non è il suo scopo.

Sembrò funzionare, all'inizio. Poi ricominciarono i crolli e gli incidenti, e da lì partirono probabilmente i primi studi seri nel campo dell'arboricoltura ornamentale. Si capì cioè che sapevamo come fare mele buone e pali diritti, ma non sapevamo granchè sul funzionamento degli alberi. Alla fine degli anni cinquanta presero il via le prime ricerche ed osservazioni sul campo di Alex Shigo. Da allora ad oggi abbiamo imparato molto, ma l'idea che la potatura rinforzi l'albero è tutt'altro che debellata e certe pratiche come la capitozzatura sono ben lontane dell'essere abbandonate.

Anche perchè, sapete che tipo di tagli pratica uno che non sa niente di alberi? Nel 90% dei casi pratica una capitozzatura, poco importa che sia a danno del fusto e dell'asse principale dell'albero, delle branche o dei rami: di capitozzatura comunque si tratta, e vedremo più avanti cos'è nel dettaglio.

Perchè è troppo alto: cosa vuol dire che un albero è troppo alto? Un albero non è alto un centimetro di più nè uno di meno di quello che deve essere. Chi decide quanto deve essere alto un albero? Come mai ci sono alberi della stessa specie e della stessa età (cronologica, non biologica), che hanno altezze diverse? Cosa si vuole insinuare dicendo che un albero è troppo alto? Forse che è pericoloso? Se così è allora l'albero va abbattuto, non potato. Se è pericoloso dimezzarne l'altezza non risolve il problema; se non lo è, dimezzarlo diventa allora invece il problema, grazie al quale l'albero diventerà pericoloso.

Allora ne posso tagliare un terzo, se metà non va bene?

Un quarto?

Un quinto?

Un pezzettino piccolo piccolo?

Un po' qua e un po' là, a caso?

Un albero non si è svegliato alto una mattina; caso mai siete voi che una mattina l'avete finalmente notato e vi siete fatti prendere dall'ansia che sia alto e pericoloso.

Un albero, alto ci è diventato in anni di duro lavoro, ed ha messo legno e radici dove e come serve per sostenere la sua altezza e le sollecitazioni trasmesse a terra dalla spinta del vento sulla chioma. Non si è fatto a caso, non è un Icaro che vola troppo vicino al sole, nè un'arrogante torre di Babele; è un albero, per la miseria! Uno con 350 milioni di anni di evoluzione alle sue spalle, uno che sa il fatto suo, più di quanto pensiamo noi di saperne!

Se tagliamo un albero per abbassarlo, è fatica sprecata: lui tornerà ad essere alto come prima, perchè così deve essere, non di meno!

Perchè sporca con le foglie, ne fa troppe: che faccia troppe foglie suona come l'albero troppo alto: fa le foglie che gli servono, l'albero non è stupido. Sa che deve sopravvivere, aborre gli sprechi di energia; non fa una sola foglia in più di quelle che deve avere, ma quelle che fa gli servono proprio tutte. Pensate che bel servizio che gli facciamo potandolo!

E dunque, poichè l'albero fa foglie sporcaccione, come facciamo per fargliene fare di meno? Gli diamo una bella strapazzata alla chioma!

Se potesse parlare, l'albero risponderebbe così, rivelandosi anche un bello stronzo, oltre che dispettoso.

Guarda, caro, le foglie mi servono, io ci mangio con le foglie! E siccome non posso farne a meno e tu mi stai pure antipatico perchè da vent'anni mi parcheggi la macchina sui piedi, l'anno prossimo te ne farò di più e per giunta molto più grandi del normale! Se poi insisti col tuo atteggiamento e mi tagli ancora e con maggior rabbia, perchè hai visto che non è servito a niente, allora un bell'autunno insieme alle foglie ti lascio cadere sulla macchina anche una bella branca, dopo di che fai il conto di quanto ti sono costato per avermi tenuto per tutta la vita brutto ed insicuro, e nel conto ci metti pure il carrozzaio!

Non ragiona male l'albero, provate a mettervi nei suoi panni in questo modo: casa vostra è servita dalla sola corrente elettrica prodotta dai pannelli fotovoltaici installati sul vostro tetto. Dipendete da questi per tutto, dal frigorifero all'acqua calda per la doccia e per il termosifone, ed anche per cucinare, solo piastre elettriche, niente gas. Voi mangiate e vi scaldate (che sono poi le uniche esigenze vitali che avete, il resto sono fronzoli e capricci domenicali da supermercatone ed offerte imperdibili) solo grazie ai pannelli che avete collocato sul tetto di casa. E non li avete piazzati là a caso: oltre ad avere accuratamente scelto il lato più soleggiato, ne avete montati in numero sufficiente a coprire le vostre esigenze, caso mai qualcuno in più, non certo qualcuno in meno. Ora, un bel giorno, qualche intelligentone si inventa una legge per cui su ogni casa  non ci possono essere più di tot pannelli fotovoltaici. Sapete com'è una legge, no? Non ci discutete mica, ve la prendete nei denti e riga, e buona grazia se la legge non ve l'ha fatta il politico che avevate votato.

E voi cosa fate? Morite di freddo e di fame? No, se vi tocca vi tocca, e quindi vi adeguate alla legge e togliete un certo numero di pannelli, sostituendoli però con altri molto più grandi e che coprano la medesima superficie di prima. Meno pannelli, va bene; ma uguale estensione!

Questo fa l'albero, tenta di ripristinare le centrale energetica perduta: meno foglie, ma più grandi.  Volendo continuare la similitudine, bisognerebbe dire che i nuovi pannelli rispondono sì alle esigenze di prima, però sono molto più pesanti, e cominciano a far scricchiolare il tetto di casa; una crepa qua, un'infiltrazione d'acqua là. Una nuova legge, ulteriormente restrittiva, potrebbe sorprendervi inabili a reagire, e vi costringerebbe ad un inverno senza energia e senza tetto di casa.

Le foglie sono vita, non sporco. Sono vita da vive e promessa di vita da morte. Una promessa di vita per l'albero e per i suoi associati, funghi, batteri o altro che sia.

Non raspate via le foglie da sotto gli alberi!

Servono!

E servirà a voi per sognare di aver contribuito a che quella foglia, così arrogante in primavera, e così rossa e calda in autunno quando la stagione si tinge di freddo, lei che coi suoi colori e con le sue bizzarrie ha riempito di luce i vostri occhi e i vostri ricordi, possa un giorno tornare lassù da dove è venuta, all'apice di quel ramo, ad ascoltare i mormorii del vento. E' il ciclo che si compie: assorbita dalle radici ed estratta dal suolo come una goccia di preziosa essenza, ha viaggiato negli anni del legno fin lassù, per godere di una sola stagione di vento, di sole e di pioggia. Ed ora che è a terra si rende disponibile per la vita altrui, in abbandono e nella quiete.

Non è spazzatura da pigiare in un saccone nero, tra imprecazioni e sacramenti, e scaraventare nel primo cassonetto, e maledette le foglie.

Sono l'energia del vostro focolare e della vostra mensa.

Questi sono alcuni dei principali motivi per i quali veniamo chiamati ad occuparci degli alberi, e non ce n'è uno buono! E se proprio l'albero vi toglie il sonno perchè è alto ed incombente su casa vostra, o se proprio non sopportate le foglie, beh, allora meglio abbattere l'esemplare (se i regolamenti locali che disciplinano il verde ve lo consentono), e piantarne almeno un altro altrove, e che abbia miglior sorte!

E dunque, perchè potare?

Per esempio può esservi un buon motivo quando parti della chioma tendono ad avvicinarsi a strutture quali edifici, fili della luce, tetti. Quando tendono ad avvicinarsi! non quando già strusciano sul tetto e spostano coppi ad ogni raffica di vento, o quando si siedono a tavola se per caso apriamo la finestra!

Pensare con gli alberi significa pensare per tempo, ed avere quella capacità di immaginarsi un albero fra venti o trent'anni: se in quel momento capisco che prima o poi interferirà con un ostacolo, allora quello è il momento di intervenire: prima si fa, meno costa e meglio riesce. Si interviene con tagli programmati nel tempo su diametri piccolissimi, senza quindi alterare più di tanto quella famosa tavoletta instabile su cui poggia l'albero.

La potatura potrebbe ritenersi anche perfettamente assolta quando si provvede alla sola rimozione di rami secchi, gli unici che potrebbero cadere al suolo provocando danni, oppure anche solo per ragioni estetiche. Su molti esemplari, infatti, l'asportazione del secco oltre a migliorare sensibilmente la permeabilità della chioma a vento ed accumuli nevosi (circostanze che possono portare a valori limite la capacità di tenuta meccanica di un albero), migliora anche l'aspetto sotto il profilo estetico, ponendo in risalto le eleganti strutture lignee portanti di un albero.

Può essere necessario potare un albero, per ripristinare condizioni di miglior equilibrio energetico e di migliore stabilità, quando questo abbia subito dei danni all'apparato radicale.

Oppure quando, a seguito della comparsa di funghi del legno e a seguito di un'accurata ed approfondita indagine, si sia deciso di ridurne la chioma, o di diradarla,  sempre per migliorarne il coefficiente di sicurezza.

Oppure l'intervento di potatura può essere limitato ad una sola branca o ramo di un albero a seguito di danni per neve o vento.

Ancora, può rendersi necessario per asportare alcuni rami difettosi: gli alberi in generale, ma alcuni più di altri come il faggio, il carpino piramidale o l'olmo campestre, tendono soprattutto nelle fasi giovanili a sviluppare rami con difetti. I difetti sono, bene inteso, tali per noi uomini, e probabilmente non per l'albero, o magari per la specie; di fatto tali rami crescendo potrebbero dar luogo ad una chioma instabile, e dunque incompatibile con l'ambiente urbano. Anche in questo caso l'asportazione precoce del ramo garantisce il minor danno per l'albero e la miglior riuscita nello scopo, oltre che il minor costo.

Spenderei due parole per questa storia dei rami difettosi: difettosi perchè, come già detto, preludono ad una chioma instabile e particolarmente soggetta a schianti.

Tuttavia, se ci si addentra in un bosco di faggi, si noterà che le piante prive del difetto chiamato corteccia inclusa sono davvero rare. La corteccia inclusa è un tipo di inserzione tra rami, branche o fusti codominanti, con un angolo così stretto, detto a V, che la crescita annuale di diametro non potendo estrudere la corteccia verso l'esterno, la involve verso l'interno del fusto, generando saldature precarie. Nei boschi di faggio, gli schianti naturali di fusti codominanti  o di rami e branche con corteccia inclusa, sono assai frequenti.

Il contrario della forcella a V, occlusa e stretta, è la forcella a U, larga e comoda, dove anche a colpo d'occhio l'idea di solidità e compattezza del legno è veramente impressionante.

                   forcella a U                                                        forcella a V

Per inciso, va detto che il faggio è un vero campione di compartimentazione, cioè ha una straordinaria capacità di isolare in aree ben ristrette i patogeni insinuatisi da schianti anche devastanti ed estesi.

Questo però non ci basta per rimediare alla figuraccia fatta: si è parlato di alberi come di organismi che tendono alla perfezione e guarda qua: ce ne sono molti di molte specie che nascono e crescono con grossolanità tali da indurli a sbracarsi al primo venticello o al primo fiocco di neve: tra l'altro, sempre per prendersela con quel mistificatore del faggio, proprio lui vive in zone dove nevica e tira vento, eccome! E allora?

Possibile una cialtronata del genere, e proprio da un vegliardo di 350 milioni di anni?

Io non credo: non credo possibile che in tanto tempo gli alberi non abbiano saputo liberarsi da difetti congeniti così distruttivi ed inficianti per la salute e la stabilità del soggetto e, in seconda battuta, di tutta la specie. Sono portato a credere che una spiegazione ci possa essere: il fatto che noi non vediamo o non guardiamo nella direzione giusta, cioè il fatto che non capiamo, non ci deve indurre a bollare un fenomeno come difettoso, ed eventualmente a trattarlo solo come tale.

Attualmente, su grandi diametri, la corteccia inclusa rappresenta un discreto problema nelle operazioni colturali da dedicare ad un albero, e non di rado obbligano a lavori di consolidamento e riduzione di chioma i cui effetti nel tempo non sono comunque del tutto noti, ed in ogni caso oggetto di controversie e dibattiti negli ambienti didattici. Può darsi che, in futuro, se si arriverà ad una spiegazione più esaustiva del fenomeno, lo si saprà affrontare e valutare con ottiche e strumenti maggiormente adeguati.

Per il momento accontentiamoci di: intervenire precocemente sui principali difetti strutturali dell'albero.

Mi preme ripetere che interventi precoci sono assai efficaci, poco lesivi dell'albero e molto poco costosi.

Un altro difetto macroscopico nella chioma degli alberi è costituito dai rami che sfregano, quei rami cioè che incrociandosi si toccano. I movimenti del vento producono un continuo sfregamento che lesiona la corteccia ed i tessuti sottostanti nel punto di contatto. Di qui una ferita mai chiusa che è via di ingresso per i patogeni, e punto di rottura in caso di sollecitazioni. Di fatto, nonostante molti di questi rami in effetti si spezzino naturalmente, in alcuni casi e nel corso di molti anni arrivano invece a saldarsi formando un corpo unico e trovando stabilizzazioni meccaniche di difficile interpretazione, ma non prive di efficacia funzionale, a dimostrazione che spesso un difetto è solo una limitata interpretazione di un fenomeno. Che ci si possa tuttavia permettere in ambito urbano la caduta a terra di centinaia di rami, questo no. Semplicemente, se proprio si vuole potare un albero, almeno ci si dedichi a questi rami, lasciando stare il resto, e avendo coscienza di aver prodotto per lo meno qualcosa di utile e sensato.

Ancora (per sfinirvi) si è costretti a potare un albero quando questo abbia subito passati interventi di potatura poco razionali e per niente corretti; in questi casi, che purtroppo sono la maggioranza, l'intervento ha il solo scopo di ripristinare condizioni di sicurezza adeguate (se possibile, se no tocca rimuovere l'albero), avendo già buttato dalla finestra ogni idea di bellezza della pianta, snaturata da un precedente pesante intervento.

Chioma primaria è definita la chioma di quell'albero che non abbia mai subito radicali interventi di riduzione; ricostruita è invece quella chioma di emergenza ricostituita dall'albero a seguito della sua parziale o totale asportazione.

Provate a guardare due alberi, uno con chioma primaria ed uno con chioma ricostruita, e giudicate da soli quale dei due vi suscita le emozioni più positive.

Credo comunque inutile continuare un'elencazione un po' barbosa sui buoni motivi per intervenire su un albero: è stato molto più divertente scrivere (e penso anche leggere) dei motivi non buoni per strapazzare un albero.

Avanti di questa strada continueremmo per pagine e pagine, senza comunque concludere l'argomento, non essendo io stesso per altro in grado di farlo.

Quello che mi preme comunicare è che l'atteggiamento più saggio da parte di chi custodisca alberi, sia comunque quello di chiedere aiuto a un professionista: 

sbagliato contattare un'azienda di potatori dicendo: ho bisogno di potare i miei alberi!

Credo sia più ragionevole rivolgersi in questo modo: ho degli alberi nel giardino: può dirmi se è necessario occuparsene per qualche motivo?

E questo perchè nessuno che non abbia competenze specifiche può dare un giudizio di questo tipo: l'orefice mi ripara l'orologio e mi forgia il braccialetto: come fa a sapere di cosa hanno bisogno i suoi alberi? Al limite potrà dire che uno dei suoi alberi è ingombrante verso le finestre di casa: c'è qualcosa di ragionevole che si possa fare?

Molte volte ci vuole del bello e del buono per convincere un custode di alberi che i suoi alberi non hanno bisogno proprio di niente: no, non è ora di potarli; neppure se non l'avete mai fatto, anzi probabilmente proprio per quello. A volte neppure il sollievo che dovrebbe derivare dall'aver evitato una spesa ingente è sufficiente a scalzare la crostosa convinzione che invece è proprio ora di potarli: non è mai stato fatto! Anche il mio vicino l'ha fatto! E' evidente che è proprio ora, sono così alti...

Chiudiamo qui questa prima lunga stagione del "settimo anno", per affrontare la seconda domanda: quando si pota?

In che periodo dell'anno?

E' evidente che un intervento sugli alberi, di per sè lesivo, per ridurre al minimo i danni deve essere condotto nel momento in cui gli alberi e l'ambiente che li circonda stanno facendo, o non stanno facendo alcune cose.

Abbiamo già visto che l'autunno non è una buona stagione. Troppe spore nell'aria, troppo elevata l'umidità. No, decisamente in autunno no.

Eppure non è raro imbattersi nei mesi autunnali in cantieri di potatura, e questo nonostante che la maggior parte dei regolamenti locali lo vieti espressamente.

Da un lato la mancanza dei controlli da parte degli enti preposti, dall'altro l'esigenza delle aziende di sbarcare il lunario tutto l'anno, fanno sì che le potature autunnali siano una triste moda in rapida ascesa.

Alcuni regolamenti comunali prevedono sanzioni per potature eseguite fuori stagione: sanzioni per la ditta esecutrice ed anche per il committente.

Ogni autunno vedo decine di potature (tra l'altro eseguite con la consueta grazia e perizia), ma non ho notizie di azioni di controllo e sorveglianza; per "beccare" casi sanzionabili non sarebbe neppure necessario passare di lì proprio nel momento in cui si stanno facendo i lavori: gli alberi non si spostano da dove sono, e i tagli freschi sono ben riconoscibili a lungo, soprattutto quando coinvolgono i soliti grandi diametri (tagli di grande diametro che, per inciso, sono un'altra pratica espressamente vietata e sanzionata dai regolamenti). Questa è tuttavia l'attenzione riservata agli alberi dagli organi ufficiali di vigilanza. In sostanza non frega niente a loro, non frega niente a nessuno.

In realtà almeno al committente, al custode dei suoi alberi, qualcosa dovrebbe fregare: pagare per farsi infliggere un danno è addirittura peggio che pagare una sanzione (e non so in quali altri casi possa dirsi vero, vista la sensazione di totale inutilità e spreco che si ha quando si paga una multa).

Alle aziende ed a coloro che intervengono sugli alberi a tutti i costi e tutto l'anno vorrei dire che un atteggiamento di questo tipo degrada, e non poco, l'intera categoria dei giardinieri e degli arboricoltori, ed espone la  faccia ed il  nome di chi così opera avverso chiunque possa formulare un giudizio critico sul loro operato.

Vorrei dire che è sufficiente programmare i lavori in modo tale da tenersi per le stagioni vietate altre faccende che non siano le potature; per esempio gli abbattimenti: non sono tutti urgenti, anzi la maggior parte vengono previsti con buon anticipo, e possono essere fatti in autunno; le operazioni di pulizia del secco, che non coinvolgono quindi in nessun caso i tessuti vivi dell'albero, sono un altro di quei lavori che possono essere programmati per le cosiddette stagioni morte.

Certo, per farlo occorrerebbe sapere che per potatura può intendersi anche solo la rimonda dal secco: potare non necessariamente vuol dire amputare legno vivo. Su alcuni alberi c'è tanto di quel secco da poterci lavorare addirittura con la motosega.

E' frequente vedere, soprattutto a carico di quegli alberi con chiome molto folte e complesse, come i cedri, gli olmi, i lecci e i salici, potature di basso profilo tecnico che hanno conciato le piante a mò di gigantesche siepi, con rami lunghi tutti uguali, e lasciato in bella mostra rami secchi e monconi. Che senso ha? Che spiegazione si può fornire? Qual'è il ragionamento che può motivare la permanenza di rami secchi dopo una potatura?

E' una domanda che rivolgo agli operatori del verde, una di quelle domande che potrebbe far nascere il primo crack in un consolidato modus operandi che ha perso da tempo il vezzo ed il vizio di porsi dei quesiti e di cercare delle risposte.

Qualunque azione, anche la più errata, se motivata gode quanto meno dell'attenuante delle buone intenzioni. Se compiuta meccanicamente, senza un perchè, o solo nell'ottica del miglior incasso e guadagno, è rea in partenza.

Un altro periodo in cui non si possono toccare gli alberi è la primavera.

Cioè da quando le gemme iniziano a gonfiarsi preludendo alla schiusa delle foglie (o dei fiori: alcuni alberi, come il ciliegio o il mandorlo e tanti altri, fioriscono prima di mettere le foglie), fino alla completa formazione delle foglie.

In questa fase, oltre a dare una bella sistemata alla cucina, l'albero ingrossa rami e rametti, mette su legno. Sarà solamente al termine di questa imponente operazione, cioè grosso modo dall'inizio dell'estate, che, cessato l'incremento di diametro dei rami, ha inizio l'incremento del fusto e delle branche principali. In questo modo i tessuti di un ramo nella sua inserzione al fusto vengono fasciati e ricoperti ogni anno dai  tessuti nuovi del tronco; un intreccio di fasciami di solidità sorprendente.

Un ramo che spunta dal fusto di un abete, vi è conficcato dentro e fasciato e stritolato dai tessuti del fusto.

Tutte queste attività (fioritura, schiusa delle foglie, ingrossamento dei rami) esigono un apporto energetico enorme, e mettono in moto un potentissimo e complessissimo laboratorio chimico. Manomettere un albero in questo periodo significa disorientare completamente la pianta, interrompendone il flusso di messaggi chimici e ormonali destinati a regolare l'intensa attività biochimica.

Io non ho idea di cosa avvenga in una fabbrica che produce, per esempio, medicinali. Vicino a me c'è un complesso industriale farmaceutico: da fuori è un autentico intrico di tubi e cisterne. Dentro gli ampi capannoni, che stanno incastonati nell'intrico di tubi come pietre preziose sulla corona di un re, immagino che il groviglio si faccia ancora più serrato: un delirio di tubi e tubini, provette e gorgoglianti alambicchi, e macchinari di ogni foggia, colore e dimensione. Tutto è calibrato con quella precisione che richiede astruse unità di misura infinitesimali; ogni cosa nel giusto momento e nella giusta quantità. Ettari di capannoni e di stabilimento industriale sospesi e sincronicamente protesi verso quella minuscola gocciolina di antibiotico che sarà distillata da un sottilissimo ugello.

In quel momento, quando tutti attendono con trepidazione l'evento, ecco che arriva la squadra degli imbianchini per rinnovare un po' tutti quei locali ingrigiti. Alacremente questi prendono a spostar mobili, ammassarli al centro dei sofisticatissimi laboratori, coprono con teli, staccano termosifoni dai muri (o roba che sembra un termosifone, chissà cos'è: ad ogni modo, chiuse due manette e sbullonato dal muro, anche lui viene ammassato col resto), e poi già scoponate sui muri per staccare polvere e croste, ed infine via coi rulli e le tempere!

Sono velocissimi: prima che l'attonito signor Bayer riesca a richiudere la mandibola e balbettare qualche costernata parola, gli imbianchini hanno finito, rimesso tutto a posto, riaperte le manette chiuse (più o meno: il termosifone giallo stava qui o là dove c'è finito quello rosso? Comunque è lo stesso, senti come scaldano bene tutti e due?), presentato il conto e incassato la giusta mercede.

E arrivederci alla prossima. Sono educatissimi.

Questa è la potatura eseguita in primavera: e non c'è potatura corretta o scorretta che tenga; è in ogni caso il pachiderma in visita nella vetreria di Murano.

Con i cocci ed i frammenti rimasti, l'albero tenterà di ricostruire qualcosa di sensato. Magra soddisfazione...

No, anche in primavera è decisamente bene dimenticarsi degli alberi.

Quando poi si parla di primavera o di autunno, sarebbe bene non fare riferimento alle esatte date astronomiche di inizio e termine delle stagioni. E' sicuramente meglio invece riferirsi alle condizioni climatiche del momento: se l'autunno si allunga in tiepide e carezzevoli promesse oltre il 21 dicembre, porta comunque ancora con sè umidità e spore. Se invece il 10 di novembre abbiamo già patito gelo e sciarpa di lana, può darsi che le condizioni consentano qualcosa di più.

Cerri e roverelle, che in inverno restano attaccati alle loro foglie più che possono, sono molto tardivi nella ripresa vegetativa, e dunque anche il completamento dell'apparato fogliare scivola di norma ben oltre i tempi di altri alberi: quando per tutti la primavera è finita, per loro potrebbe essere appena a metà.

L' inverno è la stagione della potatura degli alberi.

E questa è una di quelle conoscenze largamente diffuse che risponde abbastanza fedelmente al vero.

Meno noto è il fatto che: anche l'estate è la stagione della potatura degli alberi.

E come mai in estate non si vede mai potare? In linea di massima perchè in estate cresce l'erba, e dunque c'è altro di cui occuparsi. E poi forse perchè è talmente consolidata l'idea che sia l'inverno  il momento giusto, che vanno bene autunno e primavera, che un po' all'inverno ci assomigliano, ma l'estate proprio no! E poi ho altro da fare!

Invece l'estate presenta vantaggi che neppure l'inverno offre, non perchè sia estate, ma perchè gli alberi fanno cose diverse che in inverno.

Andiamo per ordine: ciò che tutti sanno è che in inverno il freddo blocca o rallenta molto l'attività delle spore, ed anche l'umidità nell'aria è decisamente più bassa che in autunno e in primavera. Parimenti è noto che il clima secco tipico dell'estate azzera ogni attività fungina.

E così abbiamo sistemato clima e funghi, e ci siamo garantiti le condizioni migliori per poter ferire gli alberi con tagli di potatura.

Gli alberi però si presentano in questi due momenti dell'anno in modi assai diversi.

In estate, per esempio, l'attività vegetativa delle piante che è al massimo, consente una immediata risposta delle strutture di difesa attiva dell'albero. Il che si traduce in un avvio deciso della barriera di compartimentazione numero 4, quella che deve isolare l'inevitabile aggressione dei patogeni. Su tagli di piccolissimo diametro queste possono arrivare a isolare completamente la ferita addirittura prima che nell'aria si scateni il finimondo delle spore.

Su tagli di diametro più consistenti ci sarà comunque il tempo per iniziare quantomeno a produrre i tessuti che andranno a chiudere il taglio prodotto.

Quando si parla di potatura, 6 o 7 centimetri rappresentano il diametro di taglio massimo fino al quale ci si pu� spingere.

Oltre queste misure crolla qualunque capacità di reazione efficacie dell'albero.

Tagli di diametro maggiore di questi devono costituire un'eccezione assolutamente straordinaria, e devono essere più che ben motivati. Perdite di questo tipo rappresentano per un albero un deciso scossone verso il disequilibrio del suo precario piano di appoggio, qualunque sia la stagione in cui patisce il danno.

In estate inoltre, una parte consistente delle riserve energetiche di un albero, costituite prevalentemente da amidi, si trova alle estremità dei rami, dove cioè più intensa è l'attività biologica dell'albero, e dove maggiori sono le richieste energetiche.

Quando verso la fine dell'estate la fase di vegetazione degli alberi inizia a rallentare, queste riserve vengono nuovamente mobilitate verso distretti più 'sicuri' dell'albero: le grandi branche, il fusto e le radici. L'albero mette in cantina le sue scorte, al riparo delle asprezze dell'inverno.

E' evidente quindi che le potature estive tolgono all'albero oltre che del legno, anche ingenti riserve energetiche. A fronte dei vantaggi precedentemente richiamati per le potature estive, occorrerà stilare un bilancio di questo tipo: l'energia risparmiata grazie ad una veloce compartimentazione delle ferite, vale quella perduta con i rami tagliati?

Solitamente la risposta è affermativa per esemplari giovani; più dubbia l'interpretazione per piante adulte. Quasi mai invece una pianta senescente o particolarmente debilitata da precedenti potature può essere potata in estate.

La faccenda della giusta stagione per potare porta nuovamente a considerazioni di ampio respiro, che intendano valutare un albero non solo come singolo individuo, ma come facente parte di un articolato sistema di cui lui è solo un elemento. E questo sistema tende a creare un'inerzia e a mantenerla, assecondando un movimento che figurativamente, e con poca originalità, potremmo chiamare ciclo.

Potare significa inserirsi traumaticamente nel ciclo, togliendo e sgretolando arbitrariamente ciò che invece era previsto esserci. Resta da vedere se inserirsi nel ciclo e, più o meno, assecondarlo sgangheratamente, o se entrarci a gamba tesa opponendovisi come uno scoglio che frantuma l'onda.

Infine, quanto potare?

Quanta parte di chioma posso asportare?

In relazione al tipo di problema che si intende risolvere (perchè potare?) occorre individuare il periodo migliore per l'intervento previsto (quando potare?) e la quantità massima di  vegetazione asportabile per raggiungere il fine, appunto: quanto potare?.

Troppo poco potrebbe non mettere la pianta al riparo, per esempio, da schianti da neve; troppo potrebbe spingere la pianta oltre un limite di non ritorno.

Non è un problema semplice da risolvere; non è per niente facile cercare di rimanere in quello stretto corridoio esistente tra l'uno e l'altro eccesso.

Non c'è alcuno strumento che aiuti, niente che possa fornire una misura del ciclo nel quale ci si è inseriti. Sarà il tempo a mostrare se si è rimasti nel corridoio, o se da una parte o dall'altra si ha messo un piede in fallo.

No, potare non è proprio cosa da orefici, anche se ne richiede la stessa precisione.

Eppure sugli alberi in tanti vi si cimentano: per diletto sugli alberi del proprio giardino, per lavoro e a pagamento sugli alberi dei giardini altrui.

Perchè allora, se a nessuno verrebbe mai in mente di infilare un cacciavite nel delicatissimo ciclo delle rotelline e delle molle di un orologio, per cercare magari di ripararlo, a tutti può invece sembrare banale e normale infilare una motosega nel ciclo di un albero?

Tornando al quanto potare, semplificando molto direi che esistono due grandi direttive nella manutenzione della chioma di un albero: la potatura di diradamento, e la potatura di riduzione.

La prima dirada la chioma: ne mantiene cioè inalterato il volume complessivo, semplicemente la 'svuota' un po', rendendola più permeabile a vento e a carichi di acqua o neve.

La seconda invece altera il volume complessivo della chioma, mantenendone invariati i rapporti, ma di fatto riducendola, come quando si sgonfia un pallone: poco o tanto che lo si sgonfi, resterà comunque sferico (oppure ovale se si tratta di un pallone da rugby o di un pioppo cipressino).

Sono due interventi assai diversi, che scaturiscono da condizioni di salute e stabilità degli alberi molto differenti tra loro.

Soprattutto sono interventi riservati quasi esclusivamente a grandi o vetusti esemplari.

Nella maggior parte dei casi, su piante giovani o di media grandezza, quelle che cio� per la maggior parte ornano i giardini, interventi limitati alla sola asportazione del secco o dei rami con difetti assolverebbero già perfettamente al compito richiesto.

Qualche colpo di seghetto e di cesoia, e niente di più.

Il resto è spreco e rovina. La rovina è dell'albero; lo spreco delle tasche di chi paga: subito per il lavoro in più svolto, ed in seguito per quello che obbligatoriamente occorrerà svolgere per mantenere l'esemplare in sicurezza finchè potrà offrire garanzie di stabilità accettabili.

La potatura di un albero può coinvolgere percentuali differenti della chioma, a seconda dell'età biologica di un esemplare e delle sue condizioni di stabilità.

Più un esemplare è vecchio, minore sarà la sua capacità di sopportare deprivazioni di fogliame: un'asportazione del 5% potrebbe già significare un limite invalicabile. Su un esemplare giovane possiamo tollerare valori superiori, spingendoci anche al 20 o 25% del volume complessivo.

Come mai su un albero gigantesco, pieno di rami e foglie, possiamo togliere così poco, mentre invece su un alberello giovane e striminzito possiamo permetterci un tal spreco?

Ci sono molti motivi per usare tali cautele con i grandi alberi, di cui due sono facilmente comprensibili, soprattutto riferendosi, come al solito, all'equilibrio energetico di un albero.

Il primo riguarda proprio le dimensioni dell'albero, e la lontananza delle foglie da fusto e radici, con crescenti difficoltà nel far giungere in tutti i distretti gli elaborati della fotosintesi; a soffrirne sarà particolarmente l'apparato radicale che fornirà in conseguenza performance rallentate e diminuite.

In secondo luogo un grande albero presenta un rapporto assai svantaggioso tra la sua massa dinamica, quella cioè metabolicamente attiva e che coinvolge solo gli strati più superficiali del legno, e la sua massa statica, il cosiddetto legno morto, quello di sostegno, che negli anni si è ingigantito, autentica zavorra al traino.

In sintesi potrebbe proprio essere il momento in cui la curva delle 'capacità dinamiche' di un albero incrocia su un grafico la curva delle sue 'passività statiche', quello in cui inizia ad inclinare per natura il  suo piano della vita.

Una potatura troppo severa su un vecchio esemplare o su un esemplare fortemente deperito, potrebbe innescare un rapido decadimento, e si potrebbe assistere al veloce disseccamento di tutta la pianta nei pochi anni successivi, come un grande elefante lanciato in corsa e sgarrettato: ancora pochi passi, più per l'inerzia che per altro, e poi il rovinoso crollo nella polvere.

Tagli troppo drastici su giovani esemplari incontrano invece grandi riserve energetiche che si opporranno al declino, regalando una vita storpia e stentata, e comunque più breve di quanto potrebbe sperare un albero.

La presenza degli alberi nelle città deve regalare emozioni positive, deve indurre i nostri pensieri verso il bello e soddisfare le nostre esigenze di armonia. Deve cioè richiamarci al ciclo, anche se solo per un breve momento, solo per il breve durare di un semaforo rosso;  deve lasciarci indulgere al cerchio della vita e della natura dal quale in ogni istante, più o meno consapevolmente, rischiamo di uscirne con spinta centrifuga.

Armonia, anche solo per un attimo. Intrappolati nel traffico, snervati per un rosso di troppo, distratti dal trillo del cellulare e turbati per la notizia dell'ultima nuovissima guerra: che sia un albero, anche se per un istante appena, a richiamarci all'inerzia circolare dentro cui, almeno i nostri pensieri, vorrebbero rotolare.

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